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| n.3 - 23 Settembre anno 2024 | |
| | | Nel 2022 il
43,1% dei giovani che ha lasciato l’Italia aveva un titolo terziario,
dal 37,7% nel 2021 e dal 31,6% nella media 2011-2022. Il 51,5% tra gli
emigrati dal Friuli-Venezia Giulia, il 50,7% dalla Lombardia, il 49,3%
dall’Emilia-Romagna e il 49,2% dal Veneto. Nello stesso anno i giovani
con laurea in tutta Italia erano il 29,2%.
La stima della Fondazione Nord Est sul valore del capitale umano considera
l’investimento pubblico per l’istruzione e quello delle famiglie per
ogni figlio fino al termine degli studi. Un investimento di cui beneficiano
i Paesi di destinazione, che sanno come mettere a frutto energia, valori,
saperi e voglia di imparare e crescere dei giovani. Così nella caccia globale
ai talenti l’Italia è preda.
Cresce la quota dei laureati, ma tanti i giovani emigrati con titoli medio-bassi
La nuova ondata migratoria dei giovani italiani, iniziata nel 2011, si
sta sempre più caratterizzando come uscita di laureati. Se fino al 2018
la loro quota era inferiore al 30%, dal 2019 è iniziata a salire fino a
superare di slancio il 43% nel 2022. Non sono ancora disponibili i dati
2023, in attesa di validazione all’ISTAT.

L’emorragia dei giovani laureati è particolarmente intensa dalle regioni
settentrionali, dove pure le occasioni di impiego dovrebbero essere maggiori,
data la più elevata concentrazione di imprese manifatturiere e di servizi
basati sulla conoscenza.
Così nel 2022 oltre la metà dei giovani che sono partiti da Friuli-Venezia
Giulia e Lombardia aveva il diploma universitario, e quasi la metà quelli
che hanno lasciato Emilia-Romagna e Veneto per l’estero. Segno che il
tessuto produttivo non sa valorizzarli come accade negli altri paesi europei
avanzati. A riprova della scarsa attrattività dell’Italia per i giovani.
All’opposto, una quota minore di giovani emigranti che partono dalle regioni
del Sud è laureata. Occorre considerare che molti giovani meridionali finiscono
gli studi negli atenei settentrionali, o del centro del Paese (soprattutto
romani), prima di emigrare.
L’aumento dei laureati che emigrano è stato particolarmente forte nelle
regioni nordestine: +19,3 punti percentuali la differenza tra 2022 e media
2011-22 in Friuli-Venezia Giulia, seguito dal Veneto con +16,0 punti; al
terzo posto le Marche (+15,0 punti), poi Lombardia (+14,4) ed EmiliaRomagna
(+14,0).
Nel 2022 oltre il 40% dei giovani italiani emigrati aveva completato solo
gli studi secondari superiori, contro il 38% della media 2011-22. Mentre
solo il 17% non aveva concluso il percorso formativo superiore, rispetto
al 31% medio del periodo.
Se i laureati sono facilmente etichettabili come “talenti”, non vanno
trascurati i valori di intraprendenza, coraggio, voglia di fare e imparare,
di affermarsi e darsi chance migliori di chi lascia il Paese pur sprovvisto
del più alto titolo di studio.

Con i giovani annualmente esce dall’Italia un investimento di 8,4 miliardi
Nella media del biennio 2021-22, il valore annuo del capitale umano
uscito con i giovani è stato di 8,4 miliardi a prezzi del 2023. Al
primo posto la Lombardia, con un deflusso annuale che si colloca a 1,4
miliardi, e al secondo il Veneto, con 0,9 miliardi, poi la Sicilia e la
Campania (0,8), il Piemonte (0,7) e l’Emilia-Romagna.
Nei tredici anni 2011-23 il valore del capitale umano che se ne è andato
dall’Italia, incorporato nei giovani 18-34 emigrati, è pari a 133,9 miliardi,
con la Lombardia a svettare per perdita (22,8 miliardi), seguita dalla
Sicilia (14,5) e dal Veneto (12,5). Quarta la Campania (11,7). Il dato
del 2023 è stato calcolato distribuendo il saldo migratorio dei giovani
usciti dall’Italia in base alla distribuzione media per titoli di studi
dei saldi migratori registrata nel biennio 2021-22.
Un aspetto rilevante è che, simmetricamente all’aumento della quota dei
laureati sui giovani che emigrano, si è registrato nel biennio 2021-2022
il calo della quota dei laureati sui giovani che rientrano.
La stima del valore del capitale umano uscito è stata effettuata dalla
Fondazione Nord Est utilizzando i dati OCSE sul costo annuo per alunno
sostenuto dall’amministrazione pubblica per educazione primaria e secondaria
(inferiore e superiore) e terziaria, così come pubblicato nell’edizione
di Education at a Glance 2024. I dati si riferiscono al 2021.
Il costo annuo di ciascun ordine e grado di studi è stato moltiplicato
per il numero di anni curriculari. A questi costi, che non comprendono
quelli del Sistema integrato per l’educazione 0-6 anni, che non ha uguale
diffusione sul territorio nazionale, né i costi sanitari e le altre spese
pubbliche divisibili (per esempio, trasporto pubblico agevolato, raccolta
rifiuti) e indivisibili (per esempio, sicurezza, difesa, costruzione e
manutenzione stradale), sono state aggiunte le spese sostenute dalle famiglie
per crescere un figlio fino alla maggiore età, spese stimate da Federconsumatori
a valori del 2020. Per i laureati, il sostegno di tali spese è stato prolungato
fino al 25° anno di età.
La somma di questi costi e queste spese è stata moltiplicata per il saldo
migratorio dei giovani italiani in ciascun anno, in base al titolo di studio
conseguito, ipotizzando che in chi non ha conseguito il diploma della scuola
secondaria superiore sia stata investita la stessa somma erogata per chi
lo ha ottenuto. Per i laureati si sono aggiunti i costi dell’istruzione
universitaria (comprensivi della quota destinata alla ricerca) e la spesa
delle famiglie fino al 25° anno di età incluso. Le somme sono state riportate
ai prezzi 2023 con l’indice ISTAT dei prezzi al consumo.

Italia preda nella caccia ai talenti
I dati di questa Nota, uniti a quelli della precedente, fanno capire che
nella caccia globale ai giovani talenti l’Italia sia preda, nel senso
che fornisce talenti al resto del Mondo.
Questa scomoda posizione fa rimanere il Paese indietro nella competizione
dell’economia della conoscenza. Più in generale, come sottolinea il Rapporto
Draghi, “la competitività oggi si gioca meno sul costo relativo del lavoro
e più sulla conoscenza e le competenze racchiuse nella forza lavoro”1.
L’Italia perde ogni anno una fetta consistente di questa conoscenza e
di queste competenze, a beneficio dei Paesi concorrenti che, a cominciare
dal sistema imprenditoriale, meglio sanno valorizzare i giovani.
Questa Nota è stata preparata da
Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior
Luca Paolazzi, direttore scientifico
1 The future of European competitiveness, Part A | A competitiveness
strategy for Europe, settembre 2024, pag. 9.
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