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| n.2 - 26 Febbraio anno 2025 | |
| | | Nei fattori di
attrattività il Paese è in grave ritardo rispetto ai competitor avanzati.
La carta delle opportunità, se ben giocata, mette in secondo piano le basse
retribuzioni e può trattenere e far rientrare gli italiani, attirare gli
stranieri. Da emulare le buone pratiche estere e quelle delle poche imprese
nazionali attente alle ambizioni dei 18-34enni.
Perché i giovani lasciano l’Italia? Rispondono loro stessi
Perché un così grande numero di giovani italiani, ben 550mila in tredici
anni (il triplo secondo le nostre stime), emigra verso altri Paesi avanzati?
In quale ambito l’Italia mostra le maggiori carenze che inducono a partire?
Sono domande cruciali perché sulla base delle risposte si può disegnare
la strategia per aumentare la capacità del sistema economico-sociale italiano
di trattenerli e anzi incentivare il rientro di quelli che sono usciti,
tenuto conto che oltre la metà di loro nel prossimo futuro si vede “ovunque
mi porteranno le migliori opportunità”. Dunque, sta al sistema-Italia
creare tali opportunità. Inoltre, quella stessa strategia può incoraggiare
giovani cittadini delle nazioni che sono le principali destinazioni della
nuova emigrazione italiana a venire a vivere e lavorare nel Bel Paese.
La Fondazione Nord Est ha cercato e trovato le risposte a quelle domande
direttamente tra i giovani stessi, attraverso due indagini demoscopiche
distinte; infatti, i questionari sono stati sottoposti sia a chi è espatriato
sia a chi è residente nel Nord Italia1. Una parte dei questionari è dedicata
all’attrattività, con l’elencazione di numerosi fattori e ai giovani
expat è stato chiesto di indicare per ciascun fattore se inducesse a rimanere
all’estero o a tornare in Italia e ai giovani residenti nelle regioni
settentrionali ad andarsene o a rimanere nella propria regione2.
I fattori sono stati poi raggruppati in quattro ambiti, o sfere, omogenei:
le politiche pubbliche, che dipendono dalle decisioni dei governi locali
e nazionale; la cultura, intesa sia in senso stretto (offerta artistica)
sia come atteggiamento mentale e consuetudini; la cultura imprenditoriale,
da cui dipendono l’organizzazione aziendale e la valorizzazione dei giovani;
il lavoro, che abbraccia tutte le condizioni, e non solo la retribuzione.
Pur con differenze quantitative, dalle risposte emerge una notevole convergenza
tra gli expat e chi è rimasto di opinioni negative sull’Italia3. Convergenza
che dovrebbe far riflettere la classe dirigente italiana e mettere a tacere
chi ritiene poco significative le risposte degli espatriati perché “distorte”
dalla loro scelta, mentre tanti sarebbero tornati delusi dall’estero.
Contrariamente a tale opinione, dalle indagini emerge che chi è in Italia,
compresi quindi i rientrati, la pensa sostanzialmente come quelli che sono
andati via.
Italia bocciata nelle politiche pubbliche, ma chi è rimasto dà la sufficienza
a sanità e università
Nelle politiche pubbliche i giovani bocciano l’Italia, con voti particolarmente
bassi nelle “politiche per i giovani”, nelle “politiche per il lavoro”
e nelle “politiche per le famiglie”, le cui assenza o inefficacia sono
tra le ragioni della glaciazione demografica e della massiccia emigrazione
dei giovani stessi.
Figura 1. Nelle politiche pubbliche voti bruttissimi in quelle per i giovani,
la famiglia e il lavoro (fattori di attrattività e allontanamento,
valori %)


Fonte: Elaborazione
Fondazione Nord Est su dati proprietari
Infatti, la quasi totalità degli expat che hanno risposto (oltre nove su
dieci) dichiara le politiche per i giovani come motivazione per restare
nei paesi di attuale residenza. Risultati altrettanto deludenti per il
Bel Paese provengono dalle opinioni circa le politiche per il lavoro, i
servizi di welfare e le infrastrutture digitali. Queste ultime sono essenziali
per lo sviluppo di attività innovative altamente ricercate dai giovani
ed essenziali per la crescita economica; non sono giudicate altrettanto
negativamente dai giovani rimasti in Italia, che evidentemente non hanno
potuto apprezzare l’efficienza di quelle esistenti negli altri Paesi avanzati.
Coloro che hanno (per ora) scelto di rimanere valutano positivamente solo
il sistema universitario e quello sanitario, che sono giudicati un po’
meno negativamente anche dagli expat. Su tutte le altre voci il parere
dei giovani residenti nelle regioni settentrionali risulta nettamente negativo
e decisamente in linea con le opinioni degli expat.
Promossa per l’offerta culturale, ma respinta in meritocrazia
All’interno dell’ambito culturale l’Italia ottiene il miglior voto tra
tutti i fattori di attrazione: l’arte e l’offerta culturale ottengono
un punteggio elevato sia dagli expat sia dai residenti, anche se non così
alto quanto la gran quantità di monumenti e opere disseminati lungo lo
Stivale potrebbe far pensare; infatti, è probabile che altri Paesi curino
meglio la fruizione e stimolino maggiormente la curiosità.
Figura 2. Arte OK, ma il merito manda KO l’Italia (Ambito culturale.
Fattori di attrattività o allontanamento, valori %)

Fonte: Elaborazione
Fondazione Nord Est su dati proprietari
La bocciatura torna sonora negli altri fattori culturali: dalla meritocrazia
all’apertura internazionale e, perfino, alla qualità della vita. Infatti,
solo un terzo degli expat la ritiene superiore in Italia e due terzi la
giudica inferiore, così il saldo è -37,9; è evidente che non si riferiscono
a cibo e dolce vita, ma alla facilità di vivere; per esempio, grazie a
sistemi di trasporto e amministrazioni più vicini ai bisogni dei cittadini.
Tanto che nemmeno i giovani rimasti ne danno una buona valutazione.
Un dato particolarmente rilevante, assolutamente in linea con le motivazioni
di espatrio, è l’opinione sulla meritocrazia. Un saldo così netto (oltre
nove expat su dieci e quasi tre giovani residenti su quattro) mette all’indice
la fortissima inerzia dell’Italia nel modificare il proprio approccio
alla valorizzazione del merito e dei giovani, favorendo invece criteri
di anzianità, clientelismi e relazioni amicali e familiari. Chi conosci
conta più di ciò che conosci.
Giudizi molto severi sul sistema imprenditoriale: poco internazionale e
scarsamente innovativo, incapace di valorizzare i giovani
Riguardo alle imprese e all’ambito lavorativo i giovani intervistati esprimono
giudizi molto severi sull’Italia, anche se con differenze di punteggio
tra gli expat e i residenti: più duri i primi, sebbene nemmeno i secondi
indichino in tale sfera un solo fattore di attrattività favorevole a restare.
L’intero mondo imprenditoriale è qui sotto accusa: la quasi totalità degli
espatriati (circa nove su dieci), nonché la netta maggioranza dei giovani
residenti (circa due terzi), considera la cultura imprenditoriale e l’attenzione
alle esigenze dei propri collaboratori come solide motivazioni per andarsene.
Anche l’apertura internazionale delle imprese risulta carente: un dato
che stride con la virtù esportativa delle nostre imprese. In effetti, le
imprese presenti sui mercati internazionali sono una minoranza del totale,
anche nel settore manifatturiero, e la severità dei giudizi non esclude
l’esistenza di aziende che hanno politiche verso l’estero in linea con
quanto si può trovare in altri Paesi avanzati; ma non fanno massa critica,
anche se costituiscono buoni esempi da emulare.
Figura 3. Imprese scarse nell’innovare, nell’apertura verso l’estero
e nell’attenzione ai giovani (Ambito imprenditoriale. Fattori di attrattività
o allontanamento, valori %)

Fonte: Elaborazione
Fondazione Nord Est su dati proprietari
Nel lavoro spiccano i bassi salari, non in assoluto né come unico fattore
negativo
In ambito lavorativo, le voci più negative per l’Italia riguardano i salari,
le occasioni di lavoro in settori innovativi e le prospettive di crescita
professionale. Il parere dei giovani rispetto a questi fattori è univoco:
oltre nove expat su dieci li indicano come motivo per restare all’estero
e circa due terzi dei giovani tuttora residenti nel Nord Italia come spinta
ad andare via. Le basse retribuzioni, però, non vengono bocciate in sé
ma piuttosto perché inadeguate sia rispetto al valore del lavoro svolto
sia al costo della vita; nel primo caso rifà capolino la mancanza di meritocrazia.
La parola chiave, tuttavia, è “opportunità”: opportunità di crescita
professionale in primis, volendo i giovani mettere a frutto quanto appreso
negli studi, e poi opportunità economica e di apprendimento. Grazie ad
una diversa cultura imprenditoriale, a realtà mediamente più grandi e orientate
all’innovazione e alla conoscenza, molti Paesi esteri stanno beneficiando
del flusso unidirezionale – per loro gratuito – di capitale umano dall’Italia,
in particolare dalle sue regioni più ricche. Opportunità di crescere e
di essere valorizzati è ciò che chiedono i giovani, i lavoratori di oggi
e domani, in uscita già da diversi anni. Migliori opportunità potrebbero
compensare, almeno in parte, le peggiori retribuzioni.
Figura 4. Scarse opportunità e bassi salari rendono più attraente andare
a lavorare altrove (Ambito lavoro. Fattori di attrattività o allontanamento,
valori %)


Fonte: Elaborazione
Fondazione Nord Est su dati proprietari
Questa nota è stata preparata da
Lorenzo
Di Lenna, ricercatore junior
Luca Paolazzi, direttore scientifico
1. “I giovani
e la scelta di trasferirsi all’estero. Propensione e motivazione”, disponibile
qui.
2. Si sono così calcolate le percentuali delle opinioni a favore del tornare/restare
nel Bel Paese o del rimanere/andarsene all’estero e la differenza tra
le percentuali (saldo delle opinioni) esprime la valutazione dei giovani
riguardo all’attrattività italiana in quello specifico fattore. Le differenze
negative significano bocciatura dell’Italia, quelle positive valgono una
promozione. È naturale che ci sia differenza tra le opinioni di chi è emigrato
rispetto a chi non lo fa fatto, proprio per il fatto che i primi reputano
ogni fattore una motivazione a sostegno della propria scelta, mentre chi
è rimasto in qualche modo tende a giustificare la propria decisione.
3. C’è sufficiente omogeneità nelle risposte tra i giovani residenti nelle
diverse regioni settentrionali, cosicché il loro giudizio può essere considerato
relativo non tanto al luogo di residenza ma al sistema Paese nel complesso.
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