Crescita, Competitività e Mercati internazionali

Top 100, apertura internazionale e attrattività del Nord Est.
Apertura internazionale e attrattività del Nord Est: cosa ci raccontano i dati dell'indagione TOP 100?

Le 100 imprese più importanti del Nord Est per volume dei ricavi rappresentano un osservatorio privilegiato per fare alcune considerazione sul livello di apertura internazionale e sull’attrattività delle tre regioni. Per ricostruire una mappa del processo di internazionalizzazione attiva e passiva del tessuto economico nordestino sono state utilizzate le informazioni (ricavate dalla banca dati Aida di Bureau Van Dijk) che riguardano gli investimenti esteri (IDE) in entrata (partecipazione di multinazionali in imprese nordestine) e in uscita (partecipazione di imprese nordestine in aziende di altri paesi) che permettono una lettura più articolata del fenomeno rispetto alla sola analisi dei flussi commerciali.

Il primo dato che emerge è che se consideriamo le 75 imprese TOP 100 per le quali è possibile risalire al “proprietario ultimo” in 16 casi la proprietà è in mano a soggetti stranieri. Il dato non deve sorprendere. Nel 2017 le imprese del Nord Est a partecipazione estera (un concetto più “soft” rispetto a quello di “proprietario ultimo”) erano 1.925 (13.052 in Italia) e davano lavoro a quasi 155 mila addetti per un fatturato totale di oltre 55 miliardi di Euro. Si tratta di un fenomeno in crescita: nel 2009 le imprese nordestine a partecipazione estera erano 1.492, sono quindi aumentate di quasi il 30% in otto anni.

Se si considera l’altra “faccia della medaglia” si scopre che le imprese nordestine hanno partecipazioni in quasi settemila realtà estere in cui lavorano 256 mila addetti per un fatturato di poco più di 40 miliardi di Euro. Tra le TOP 100 in classifica solamente 25 non hanno partecipazioni all’estero, una condizione che si concentra tra le imprese nel settore delle utilities e in quello della distribuzione organizzata e che molto probabilmente riflette più fattori legati ai due settori che scelte strategiche.


Il tema delle partecipazioni da parte di imprese del Nord Est in imprese straniere può essere affrontato secondo una prospettiva interna all’azienda: esiste un assetto organizzativo capace di garantire i migliori risultati? Una serie di ricerche condotte sul campo dimostrano che le aziende che hanno deciso di aprire la governance attraverso l’attribuzione di importanti deleghe decisionali a membri esterni alla famiglia fondatrice ottengono come risultato un rafforzamento strategico, organizzativo e finanziario che consente loro di affrontare con maggior probabilità di successo i processi di internazionalizzazione. Il tema della managerializzazione dell’imprese è strettamente collegato alla capacità di attirare le “persone giuste” e non solo a livello di top e middle management. Lo sviluppo di progetti articolati di presenza all’estero pone, infatti, nuove sfide nell’ambito del capitale umano. Come riuscire a selezionare e poi gestire il personale italiano all’estero, gli expatriate? Come attirare e selezionare forza lavoro in mercati lontani di cui spesso non si conoscono le logiche di funzionamento? La creazione di organizzazioni sempre più aperte sul piano internazionale impone altre questioni come quella relativa alla gestione della multiculturalità in azienda che non riguarda solamente le sedi estere ma anche quelle italiane. Managerializzazione dell’impresa e gestione del capitale umano ai diversi livelli (top e middle management e figure operative) diventano quindi temi cruciali nella gestione dei progetti di internazionalizzazione delle imprese nordestine.



Se ci si concentra sul secondo fenomeno, la presenza a Nord Est di imprese straniere, l’analisi non può che riguardare l’impatto che gli investimenti dall’estero producono sul tessuto produttivo che li accoglie. In questo caso il dibattito spesso assume toni schizofrenici. Si passa dalla richiesta di misure per rendere il Nord Est (e l’Italia) un posto più interessante in cui investire (e quindi per attrarre un maggior volume di investimenti dall’estero) alla difesa dell’italianità delle imprese. Proviamo a riassumere i punti del dibattito. In linea di principio gli investimenti diretti dall’estero sono apprezzati e ricercati e vengono visti come un’opportunità importante di crescita. L’investimento di una impresa straniera genera, infatti, una serie di benefici che potremmo riassumere nella possibilità di accedere a tecnologia e know how stranieri, nella creazione o nel mantenimento di posti di lavoro ma anche nell’opportunità di proiettare il sistema produttivo locale in circuiti internazionali. Dall’altra parte quando l’investimento estero non prevede la costituzione ex novo di una filiale nel Nord Est (investimenti detti greenfield), ma si materializza nell’acquisizione di un’impresa esistente spesso l’atteggiamento verso gli IDE diventa ostile e si passa dalla richiesta di politiche per attrare investimenti a quella di difesa dell’italianità delle imprese. L’argomentazione più frequente in questi casi riguarda l’atteggiamento “predatorio” degli investitori stranieri che attraverso queste operazioni mirerebbero ad appropriarsi della tecnologia, dei marchi, dei brevetti e dei mercati dell’impresa acquisita. Argomentazioni che assumono maggior frequenza quando l’acquirente proviene da un paese emergente. Alcuni recenti studi hanno dimostrato che oltre alle imprese predatrici tra le multinazionali dei paesi emergenti ci sono imprese che cooperano intensamente nelle reti locali di innovazione con aziende e università del territorio. Si creano occasioni, quindi, di scambio di conoscenza: la casa madre nel paese emergente trae conoscenze da lavoratori, fornitori e università locali ma al tempo stesso gli attori locali traggono vantaggio dall’interazione con la multinazionale acquisendo informazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti o modelli di management adeguati ai paesi emergenti. Per ottenere un equilibrio in cui si generano effetti positivi sull’economia dei paesi riceventi è necessario che si attivi uno scambio di conoscenze e di esperienze tra la multinazionale e gli attori locali. Molto dipende, quindi, dalla capacità di un ecosistema dell’innovazione di risultare “interessante” per una multinazionale straniera. Le politiche finalizzate all’attrazione di investimenti dall’estero e quelle per la promozione e lo sviluppo dei sistemi locali di innovazione per massimizzare l’efficacia dovranno tenere sempre più in considerazione questo aspetto.

Articolo apparso nei quotidiani del Nord Est degl gruppo GEDI, venerdì 23 novembre 2018

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