Alle elezioni del 4 marzo 2018 il Nord Est ha rivelato un volto noto e al tempo stesso nuovo.
Il Nord Est leghista e, in seguito, lega-forzista, nell’ultimo decennio appariva ridimensionato. Frenato e drenato dall’avanzata di soggetti politici più o meno nuovi. Il M5s, alle elezioni Politiche del 2013 e negli anni successivi. Ma anche il PD, alle Europee del 2014. Guidato, o meglio, “identificato” da Matteo Renzi. E trasformato in un partito personale. Il Partito di Renzi: PdR. Come Forza Italia, nel 1994. Alle recenti elezioni, però, FI e, ancor più, il PdR, si sono fatti da parte. Meglio: hanno recitato la parte degli sconfitti oppure, nel caso di FI, dei “complici” e fiancheggiatori della Lega. L’unica forza politica ad aver trionfato nel Nord Est. E anche oltre.
NORDEST MOTORE DEI CAMBIAMENTI POLITICI DEL CENTRO NORD
Tuttavia,
il ritorno della Lega, venti-trent’anni dopo, non costituisce un ritorno al passato. Perché questa è “un’altra Lega”. E il Nord Est: è “un altro” Nord Est. Anzitutto perché è divenuto, o meglio: “tornato” Nord Est e non più Nordest, senza trattino. Come l’aveva battezzato, per primo, negli anni Novanta, Giorgio Lago. Storico direttore del Gazzettino. In altri termini, non è più un’area omogenea, unificata da tendenze interne comuni. E, al tempo stesso, diverse rispetto al Centro Sud e al Nord Ovest. Rispetto a Roma, Napoli, Palermo e a Torino.
Oggi, infatti, il Nord Est propone un profilo segnato e distinto dai confini regionali, all’interno dell’area, mentre presenta lineamenti coerenti con l’intero Nord. E, semmai, con le aree di Centro Nord. Quelle che un tempo – e neppure tanto tempo fa – venivano definite “Zone Rosse”. Il Nord Est oggi è la base, l’origine dei cambiamenti che hanno investito e stanno ridefinendo il colore politico delle regioni del Centro. Che oggi appaiono molto meno Rosse. E semmai più “Verdi”. Meglio ancora: Blu, il colore scelto dalla Lega di Salvini, dopo le elezioni politiche. Per marcare la propria identità di Destra. E intercettare gli elettori di quell’area. Anzitutto: gli “azzurri” di Forza Italia. Blu, d’altronde, appare il Nord Est in questa fase. Anzitutto, come il Veneto. Dove il vento autonomista e il ri-sentimento antistatale soffia più forte che altrove. Basti pensare al referendum per l’autonomia regionale che si è svolto giusto un anno fa.
Allora, in Veneto, partecipò il 57% dei cittadini, per approvare e sostenere la domanda di in-dipendenza. Una misura assai più larga che in Lombardia, dove la partecipazione si fermò al 38%. Dietro al risultato elettorale nel Nord Est - e in particolare in Veneto – si coglie “come” e “quanto” quella domanda, un anno dopo, resti forte e diffusa. Non tanto perché i Veneti chiedano la “secessione”. Perché “in-dipendenza”, in quest’area, significa soprattutto richiesta di auto-governo. Controllo sulle risorse prodotte sul territorio dalle imprese e dalla società. Come già avviene nelle altre due regioni a “statuto speciale”: Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.
Ma la domanda di in-dipendenza significa, al tempo stesso, sfiducia nei confronti delle istituzioni dello Stato centrale. Ritenuto credibile soltanto dal 19% dei cittadini (Osservatorio sul NordEst di Demos - Il Gazzettino, gennaio 2018). Mentre il 42% esprime fiducia nei confronti della Regione e la maggioranza, il 51%, nei confronti dei Comuni.
Ebbene,
proprio nel Nord Est, e soprattutto in Veneto, i partiti attualmente al governo hanno ricevuto una spinta decisiva. Soprattutto la Lega. Infatti, il M5s, rispetto alle elezioni del 2013, il 4 marzo 2018 è calato di quasi 2 punti nel Nord Est (dal 26,1 al 24,4) e di 2 in Veneto (dal 26,3 al 24,3). Mentre la Lega ha pressoché triplicato i consensi: dal 9,6 al 30,6 nel Nord Est e dal 10,5 al 32,2 in Veneto. Molto più di quel che è avvenuto a livello nazionale. E, a maggior ragione, osservato nel Nord Ovest. Dove si è fermata (per così dire…) al 25,7%. La Lega, dunque, si è imposta dovunque nel Nord Est, ma soprattutto in Veneto. Il Collegio dove ha conseguito il migliore risultato, a livello nazionale, non a caso, è Montebelluna: 41,1%. E fra i primi 10 incontriamo, ancora, Conegliano, Legnago, Bassano e Schio. Al contrario, il PD nel Veneto è crollato al 16,7%.
Occorre aggiungere che, probabilmente, queste misure, dopo le elezioni politiche, sono cresciute ulteriormente. I principali istituti demoscopici, infatti, stimano che, in ambito nazionale, la Lega abbia pressoché raddoppiato i propri consensi. Fino a giungere, di recente, intorno al 33-34%. Una tendenza confermata nel Nord Est alle elezioni nelle Province Autonome del Trentino-Alto Adige del 21 ottobre 2018. Nelle quali la Lega si è imposta come primo partito aa Bolzano, mentre ha conquistato la presidenza del Consiglio Provinciale di Trento, con Maurizio Fugatti. Se si considera che anche nel Friuli Venezia Giulia, nello scorso aprile, Massimiliano Fedriga, candidato della Lega, è divenuto Presidente della Regione,
è evidente che il Nord Est oggi ha un solo colore. Il Blu della Lega.
Tuttavia, se l’impronta “leghista” impressa al Nord Est dalle elezioni degli ultimi mesi riflette una tendenza che viene da lontano, oggi assume, comunque, significati diversi rispetto al passato.
La Lega di Salvini, infatti, non è la Lega Nord di Bossi. Tanto meno la Liga Veneta di Franco Rocchetta e Achille Tramarin. È lontana dalle Leghe delle origini. Anzitutto perché non è più “regionalista”, ma neppure “nordista” o “padana”. È divenuta Lega e basta. Una Lega Nazionale, per analogia e assonanza con il Front National, guidato da Marine Le Pen. Alleata e amica di Salvini. La Lega, oggi, è orientata e proiettata verso il Sud. Sul piano strategico, oltre che della diffusione elettorale. In particolare, ha “espugnato” le regioni definite, fino a pochi anni fa, “Rosse”. Perché caratterizzate da un orientamento elettorale di Sinistra. E governate, a livello locale, da amministrazioni di Sinistra. Ma alle elezioni del 4 marzo 2018, in quest’area, il PD e la sinistra si sono imposti solo in 26 collegi. Piccole isole “Rosse” in mezzo a un mare “Blu”.
In questo modo, la Lega è arrivata a Roma.
Perché è una Lega di governo. “Personale”, più che personalizzata. È la Lega di Salvini. LdS. Così, paradossalmente, la spinta autonomista dei Veneti oggi è contraddetta dalla vocazione e dalla proiezione “nazionale” del partito. E ciò si riflette anche sulle preferenze verso i leader.
In Veneto, fin dal 2010, quando venne eletto Presidente della Regione, nei sondaggi d’opinione, Luca Zaia ha ottenuto un grado di consenso elevatissimo. Sempre superiore al 60%. Uno fra i governatori più popolari, in ambito nazionale. Il più votato in Italia. Anche per questa ragione, era stato candidato alla Presidenza del Consiglio da Silvio Berlusconi, dopo le elezioni. Ma, per la stessa ragione, puntualmente ignorato dalla LdS.
Ebbene, oggi Zaia interpreta il risentimento politico e la domanda di autonomia dei Veneti, ma anche del Nord Est. Che, tuttavia, si traducono nel sostegno agli attuali partiti di governo. Al “potere romano”. E, quindi, al M5s e, in Veneto, alla Lega. Divenuta, come si è detto, prima anche a livello nazionale, nelle stime elettorali dei principali istituti demoscopici. Peraltro, un anno dopo il referendum, il percorso dell’autonomia non ha fatto passi avanti. Per questa ragione Zaia, in Veneto, dispone ancora di un consenso elevatissimo: 69%. Ma per la prima volta, dopo molti anni, non è più il leader più stimato. È, infatti, superato da Salvini (71%), mentre il premier, Giuseppe Conte, non è molto lontano (66%).
LA PAURA DI UN FUTURO IN DECLINO NEL NORDEST SPECCHIO DELL’ITALIA
È, tuttavia, possibile che le cose cambino, nel prossimo futuro. Perché
nel Nord Est, e in particolare in Veneto, si sta diffondendo un senso di declino. Sta, infatti, crescendo la percezione del declassamento. Il timore che l’ascensore sociale si sia fermato. Negli ultimi anni, infatti, la componente che ritiene di appartenere al ceto medio risulta ancora molto ampia: 47%. Ma nel 2004 superava il 53%. Si sta, dunque, diffondendo un senso di declassamento. Tanto più che
quasi metà dei cittadini ritiene la propria condizione familiare peggiorata, negli ultimi anni.
Insomma,
il Nord Est non è più la terra promessa. Certo, il riscatto dei “piccoli” è avvenuto. E oggi l’immagine di quest’area è cambiata, anche su piano nazionale. Tuttavia, il risentimento sociale è cresciuto. Come la sfiducia verso il futuro. Anche perché l’apertura verso il mondo si è tradotta non solo attraverso un flusso di migranti, che ha una storia lunga. Scritta, ormai da vent’anni, dalle imprese e dagli imprenditori, alla ricerca di personale sempre meno disponibile sul territorio. Ormai da tempo, anche – e non solo – per questo, le imprese se ne vanno altrove. Verso i Paesi dell’Est. D’Europa e oltre.
Dove il costo del lavoro e la pressione fiscale sono meno pesanti. Mentre i giovani più preparati e specializzati. Formati nelle nostre scuole e nelle nostre università, se ne vanno a Nord – in Germania e in Inghilterra, soprattutto. Ma anche fuori Europa, oltre oceano.
Più di metà della popolazione, d’altronde, ritiene che per fare carriera i giovani se ne debbano “andare all’estero”. Ciò che avviene sempre più spesso. Così la popolazione declina e invecchia. E noi rischiamo di ritrovarci sempre più soli. E, per questo, più impauriti.
Certo, non dobbiamo pensare che il Nord Est sia divenuto un contesto infelice. Non è così, ci mancherebbe. Soprattutto se pensiamo al resto del Paese. Gran parte dei cittadini si dichiara ancora soddisfatto della propria vita e della propria condizione. Personale e familiare. Tuttavia, in questi anni è cresciuto il risentimento. Per citare le suggestioni del Censis di Giuseppe De Rita, anche nel Nord Est e in Veneto la paura del declassamento ha alimentato il “rancore sociale”. Ha, cioè, enfatizzato quel risentimento che ha prodotto e riprodotto gli orientamenti elettorali recenti.
E ciò segna la differenza dal passato. Dagli anni Novanta, quando il Nordest (scritto in una sola parola) esprimeva - anche con il voto - la sua voglia di riscatto, ma anche di distacco. Di in-dipendenza. Oggi, invece, denuncia insoddisfazione e sfiducia. Esattamente come quasi due terzi del Paese. E come tutto il Centro Nord. Insomma, il
Nord Est non mira alla secessione. Ma a divenire un riferimento politico per il Paese. Lo
specchio dell’Italia.