Città e Territori

Esperienze e opportunità (4/5)
Questa nuova visione ed opportunità sono riscontrabili ad esempio nell’esperienza della gestione del Patrimonio Mondiale Unesco delle Dolomiti da parte della Fondazione Dolomiti/Dolomiten/Dolomites/Dolomitis Unesco, o nella gestione degli interventi dopo il disastro di Vaia che è andato a colpire in maniera indistinta i territori di quattro regioni che hanno dovuto mettere insieme competenze, uomini, risorse per ragionare come gestire una progettazione di lungo periodo.
La tempesta Vaia: cooperare nell’emergenze e per il ripristino
È questo un caso emblematico in cui la maggiore richiesta di autonomia si scontra con la necessità di una forte cooperazione non solo nella fase di emergenza ma anche in quella del ripristino e che pone la necessità di un ragionamento comune per decidere come recuperare e con quale finalità le migliaia di ettari di superficie in cui sono caduti i tronchi divelti o spezzati, in gran parte di abete rossi e abete bianco.
Oltre alle implicazioni economiche è una occasione per affrontare in maniera aperta e multidisciplinare le funzioni di boschi e foreste anche nella prospettiva dei servizi ecosistemici.
La tempesta “Vaia”, chiamata così dai meteorologi dal portoghese “grido”, ha colpito un vasto territorio dalla Lombardia al Friuli-Venezia Giulia in un arco temporale molto ampio: dal 27 al 30 ottobre 2018.




L’evento meteo è stato caratterizzato da alcune condizioni particolari: forti raffiche di vento lineari, che in diversi punti del territorio sono risultate eccezionali (prossime a 200 km/h); importanti quantitativi di pioggia (nel bellunese e in Carnia sono caduti sino a 700 millimetri di pioggia quasi interamente concentrati in tre giorni); la durata dell’evento, che ha portato, in certi punti, alla saturazione dei depositi superficiali e quindi successivamente all’innesco di frane dovute all’instabilità dei versanti.
A generare questo fenomeno, e in particolare il forte vento, sono stati due fattori concomitanti: il crollo della pressione sull’Italia occidentale, che ha intensificato in modo significativo i forti venti di scirocco, e la morfologia del territorio. Infatti, le valli strette presenti nelle zone dolomitiche hanno incanalato e amplificato la forza del vento dando origine ai cosiddetti venti di versante. Le zone più colpite sono state l’Altopiano dei Sette Comuni, la Val Visdende, l’alto Agordino, in particolare Rocca Pietore, l’area circostante il Lago di Carezza, le Valli di Fassa e di Fiemme, soprattutto la foresta di Paneveggio, nota per gli abeti di risonanza, oltre che diverse zone della catena del Lagorai e alcune aree della Valcamonica in Lombardia, superfici e danni minori sono stati rilevati anche in Valle d’Aosta e Piemonte.
Complessivamente l’area colpita ha interessato 42.800 ettari di foresta e ha abbattuto circa 8,5 milioni di m3 di legname, il quintuplo di quanto viene di solito tagliato nella stessa zona. Non solo, Vaia ha causato anche importanti fenomeni franosi e alluvioni con gli straripamenti dei fiumi Piave e Brenta e per evitare lo straripamento del fiume Adige è stata aperta la bretella Adige-Garda; è tracimato anche il Lago di Alleghe.
Anche se nell’immaginario la tempesta Vaia è stata correttamente inserita all’interno dei fenomeni causati dai cambiamenti climatici ed in particolare del riscaldamento globale, collegandola a fenomeni tipici delle zone tropicali quali uragani, cicloni, tornado e quindi non usuali alle nostre latitudini, va ricordato, tralasciando le importanti distruzioni di boschie foreste dovute alla prima guerra mondiale, che sia l’Italia che l’Europa in passato ha già conosciuto altri episodi quali in particolare nel novembre del 1966 in Trentino, nel 1990 in Piemonte e Valle d’Aosta e nel 2015 in Toscana, mentre per a livello europeo vanno sicuramente segnalati in particolare le tempeste Lothar e Martin che dal 24 al 28 dicembre 1999 hanno colpito foreste in Francia, Germania, Svizzera e Belgio abbattendo ben 24 milioni di metri cubi di legname.




La tempesta Vaia ha dimostrato ancora una volta come nell’emergenza sia necessaria la collaborazione e cooperazione di tutti gli attori coinvolti e di come la gestione del territorio non possa essere strettamente determinata dai confini amministrativi. Ma Vaia sta ponendo nuove interessanti prospettive in quanto il ripristino delle aree colpite investe diversi aspetti inerenti non solo la dimensione strettamente forestale e quindi selvicolturale, ma pure quella naturalistica, quella ecologica, quella paesaggistica, quella della sicurezza e infine i legami valoriali e culturali che le popolazioni hanno intrecciato con i propri luoghi. Il fatto poi che i tempi del ripristino fanno rifermento a tempi lunghi (50, 100 anni?) obbliga a costruire scenari futuri complessi in cui l’approccio multidisciplinare è obbligato, ma pure una forte cooperazione tra le istituzioni coinvolte. È necessario che le regioni colpite attivino delle buone pratiche condivise che puntino non solo al recupero produttivo di boschi e foreste, ma ad una loro nuova dimensione plurifunzionale che preveda sia gli aspetti naturalistici, ma anche quelli dei servizi ecosistemici e di nuovi modelli di sviluppo sostenibili.
I primi segnali di un cambiamento di direzione sono stati intrapresi e si possono ritrovare nei continui scambi che a diverso livello le regioni colpite hanno messo in essere sia in organismi tecnici, che in quelli scientifici testimoniati dai numerosi convegni svolti sull’argomento, che nelle sedi più istituzionali e politiche in quanto si tratta di ri-disegnare non solo porzioni di boschi e foreste ma concretamente la complessità di un territorio di antica civiltà.

Riprendendo il discorso sui valori di eccezionalità dei luoghi, il Nordest ha recentemente aggiunto un altro tassello alla lista del Patrimonio Mondiale Unesco con l’inserimento, accompagnato anche da un vivace e critico dibattito, delle “Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”, sulla base della World Heritage Convention per il criterio v «essere un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura (o più culture), o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, soprattutto quando lo stesso è divenuto vulnerabile per effetto di trasformazioni irreversibili».
L’Italia è il Paese con il maggior numero di siti riconosciuti: ben 55, sui 1.121 complessivi, di cui 5 naturali, e alcuni di questi seriali e quindi collocati in più regioni per complessive 75 località collocate principalmente a Nord (49%) di cui 15 (20%) nel Nordest. Anche in questo caso queste risorse devono essere considerate come un sistema integrato in quanto alcune di queste (Dolomiti, i Longobardi in Italia, i Siti palafitticoli preistorici nell’Arco alpino, le Opere di difesa veneziane, Monte San Giorgio, ecc.) sono già seriali e transnazionali.
Se oltre a questa formidabile risorsa consideriamo che questi territori sono anche interessati da altre forme di valorizzazione dei luoghi relativamente ai processi di patrimonializzazione e alla relativa legittimazione che trovano realizzazione pratica in alcuni strumenti quali i marchi d’area, le certificazioni ambientali, le diverse forme di tutela territoriale come i parchi e le riserve naturali, e i riconoscimenti quali le Bandiere blu, le Bandiere arancione, il club dei Borghi più belli d’Italia e altri ancora si comprende immediatamente la necessità di mettere a sistema una rete, sfruttando le eventuali nuove competenze in materia territoriale.


Blog - L'opinione di Mauro Pascolini