@ERROR

Nord Est 2022 Il futuro sta passando
Chi è pronto e chi no

Bisogna essere concentrati sul business,
non farsi distrarre.
In Italia siamo abilissimi a parlare d’altro
Leonardo del Vecchio


Dove va il Mondo? E dove stiamo andando noi con lui? Siamo seduti nella plancia di comando? Oppure siamo passeggeri inconsapevoli e impotenti, magari nemmeno di prima classe?
Porre queste domande significa interrogarci sul futuro: come sarà? Cosa ci porterà? E sul nostro ruolo nel determinarlo: le decisioni che prendiamo e le azioni che compiamo contribuiranno a plasmare ciò che vivremo? O siamo in balia del fato? Siamo soggetti attivi o passivi negli eventi che formeranno il futuro?
“Nostro” qui è riferito sia ai singoli, ossia “ciascuno di noi”, sia alle comunità, più o meno ampie, di cui siamo parti costitutive, almeno quanto i polipoidi nella barriera corallina. Non c’è, invece, molto da interrogarsi sulla capacità dell’umanità intera di incidere, eccome, sulle condizioni ambientali del Pianeta e quindi sulla vita di tutti i suoi abitanti, talmente imponenti sono le dimensioni (7,9 miliardi di persone nel 2021, tendenti a 10,9 miliardi a fine secolo) e la dotazione di mezzi di produzione e di consumo raggiunte negli ultimi due secoli e mezzo.

Le questioni qui poste sono antiche: arrovellano gli esseri umani da alcune migliaia di anni e ruotano attorno al significato dell’esistenza stessa e alla sua piccolezza dinnanzi al soverchiante cosmo o anche solo di fronte alla potenza della natura come si manifesta sulla Terra.

Riconosciamo di essere una «docile fibra dell’universo». Le risposte che a tali questioni sono state date nel corso della storia sono religiose o filosofiche. Religione e filosofia travalicano gli scopi e le competenze della Fondazione Nord Est.
Invece il futuro è al cuore del suo business, per usare l’espressione di Del Vecchio. Perché si è posta una nuova missione. Non più l’osservazione e l’interpretazione delle gesta nordestine o, più particolarmente, venete, bensì l’analisi di quello che accade e accadrà nel Mondo, sui versanti dell’economia, dell’ambiente, della società, della demografia e delle tecnologie, per stimolare e aiutare il territorio a ragionare dei cambiamenti in atto e di quelli prevedibili ed essere pronto a cogliere le opportunità, anziché subirne le conseguenze.

La stessa definizione geografica di Nord Est è cambiata, perché è stata ricondotta al perimetro istituzionale, che abbraccia non solo il Triveneto ma anche l’Emilia-Romagna. La nuova definizione è coerente con la nuova missione e con l’intento di unire le forze e gli sforzi delle quattro regioni, anziché lasciarli disperdere a causa delle spinte centrifughe dei provincialismi di varia natura ed estensione. Da quest’anno, quindi, allarghiamo i confini delle analisi e delle riflessioni, aggiungiamo un trattino2 a Nord-est, che diventa quindi Nord-est. L’allargamento si esplicita anche nel coinvolgimento, come autori del Rapporto, di studiosi e analisti che lavorano nei territori emiliano-romagnoli.
D’altra parte, negli ultimi anni sono stati diversi i tentativi di ridefinire le aree dello sviluppo. Fondazione Nord Est ha parlato di Pentagono dello sviluppo. Altre sigle e confini sono stati proposti, come LO.V.ER (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) o “nuovo triangolo industriale” (Milano, Bologna, Treviso).

Non interessa qui entrare nel pur interessante dibattito sulla definizione dell’area; preme, invece, sottolineare due elementi: il primo è che se tanti sforzi si sono accavallati negli ultimi anni per ridefinire i confini del vecchio Nord Est significa che la tradizionale configurazione ha perso la capacità di rappresentare in maniera efficace le dinamiche dell’area; il secondo è che i risultati delle diverse elaborazioni giungono tutti alla conclusione che lo spazio di azione debba essere non solo sovraregionale (lo era già il Nord Est) ma più ampio che in passato.

Il coordinamento a livello sovraregionale di politiche, investimenti, azioni e riflessioni per affrontare il futuro è giustificato sia dalla presenza di economie di scala sia dagli spillover generati. E anche dalle possenti sfide che ci attendono (dalla robotizzazione al crollo demografico, dalla crisi ambientale alle tensioni politiche internazionali), di fronte alle quali già appare per lo più inadeguato il livello nazionale, figuriamoci quello regionale.
Tornando alla nuova missione di FNE, occupiamoci del futuro, dunque. O dei futuri, al plurale? Per ragionare di futuro, infatti, occorre anzitutto abbandonare la visione secondo cui esiste un solo possibile domani come esito dell’oggi.
Infatti, a partire dal qui e ora, ossia da ciò che è il presente in ogni dato momento, c’è una molteplicità di possibili evoluzioni, alcune del tutto imprevedibili. Lo abbiamo ben imparato, nostro malgrado, negli ultimi due anni, funestati dalla pandemia, prima, e dalla guerra in Europa, poi. Nelle Confessioni, scritte oltre milleseicento anni fa, Sant’Agostino afferma che passato, presente e futuro non esistono se non come nostri pensieri nel presente, cosicché: «Il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa».

In queste prime sollecitazioni, un'anticipazione dei contenuti nel nuovo Rapporto della Fondazione Nord Est , curato da Luca Paolazzi e Ginaluca Toschi, che è disponibile in vendita in formato elettronico al link messo a disposizione da Marsilio, che ritorna ad essere editrice del volume.