La crescente presenza della Cina nell’economia mondiale è vissuta con un misto di interesse e apprensione. L’Unione Europea e i diversi paesi devono saper distinguere tra gli elementi critici quelli che costituiscono una vera minaccia da quelli che, invece, sono problematici a causa della loro debolezza interna sul fronte degli investimenti, della tecnologia e del capitale umano necessari allo sviluppo.
Il quadro nel quale inserire il rapporto tra la Cina e il Nord Est si sta rapidamente modificando in connessione con il cambiamento del modo con il quale la Cina è presente sul panorama economico mondiale.
Figura 1 - Quota del PIL mondiale (PPP) di alcuni paesi tra il 2016 e il 2050 Fonte: IMF
È noto che la Cina è oggi la seconda economia mondiale dopo quella degli Stati Uniti; ma se i dati sono misurati tenendo conto della diversità dei poteri d’acquisto tra paesi, la Cina è la prima economia mondiale: rappresenta infatti il 18% del Prodotto Interno Lordo mondiale, mentre gli Stati Uniti rappresentano il 15%.
La crescente presenza della Cina nell’economia mondiale è anche testimoniata dal forte aumento degli investimenti cinesi all’estero che ormai superano gli investimenti esteri in Cina. Ma è soprattutto testimoniata dall’ambizioso progetto della Nuova Via della Seta, noto ormai come Belt and Road Initiative.
Da notare che ormai
vari paesi dell’Unione Europea e cioè Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Romania, Slovenia, ai quali si sono aggiunti la Grecia, il Portogallo e ora anche l’Italia,
hanno aderito alla Belt and Road.
La Belt and Road non va considerata come un progetto solo di espansione infrastrutturale. Anche nella vicinanza delle infrastrutture (stazioni ferroviarie, porti) i cinesi, infatti, progettano sempre parchi e zone industriali, nonché lo sviluppo di città, come basi di un processo di crescita economica di tutta l’area circostante.
È evidente quindi un collegamento tra politica di espansione della dotazione infrastrutturale nei paesi della Belt and Road con una politica di influenza economica (e in vari casi anche politica) più generale su questi paesi. In questo quadro è evidente la necessità di un cambiamento nel modo con cui sono stati caratterizzati i rapporti con la Cina dell’Unione Europea, dell’Italia e quindi anche del Nord Est.
Ci sono ancora molti ostacoli da superare nel costruire tra Europa e Cina un vero rapporto di reciprocità, in particolare relativamente alla non sufficiente apertura della Cina alle imprese estere rispetto alla evidente maggiore apertura dell’Europa alle imprese cinesi.
Un altro problema che spesso l’Europa solleva come fonte di difficoltà nei rapporti con la Cina è quello degli
eccessivi aiuti di stato alle imprese cinesi. A questo proposito l’Europa deve chiarirsi sul rapporto tra stato e mercato in settori strategici; è vero che la Cina aiuta in modo consistente i settori della rivoluzione digitale e dell’intelligenza artificiale; ma in settori come quelli, dove ci sono così tante esternalità positive, l’intervento dello Stato ha un suo ruolo che non può essere disconosciuto, e che del resto è ben presente non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti.
La costruzione della reciprocità è comunque una strada sulla quale si dovrà continuare l’impegno. L’Europa dovrà puntare sulla rimozione delle “unfair practices” più che su una guerra commerciale che comporta sempre il rischio del protezionismo. Ma
l’Europa dovrà anche rispondere alla domanda sul perché le sue istituzioni economiche e finanziarie sono meno efficaci nel generare i necessari investimenti e progresso tecnologico rispetto alle controparti cinesi, anche tenendo conto dei sussidi statali in Cina. Insomma, l’Europa deve imparare a distinguere gli elementi che possono costituire una vera minaccia alla sicurezza nazionale da quelli che in realtà rivelano la sua debolezza nel costruire le basi per una economia all’altezza di una corretta competizione internazionale. Questo vale anche per l’Italia e anche per il Nordest.
La presenza delle imprese del Nordest in Cina sta crescendo. Il modo con il quale questa presenza si va sviluppando riflette il dualismo che caratterizza l’economia del Nordest tra una imprenditorialità
più dinamica e una meno. Sono rappresentanti della prima quelli che si sono impegnati con successo in una strategia di largo respiro nella impostazione della loro presenza in Cina.
Lo hanno fatto, e lo stanno facendo, superando le oggettive difficoltà alle quali la presenza di una impresa straniera in Cina deve far fronte, sia affrontando nel modo appropriato le modalità di collaborazione con la realtà locale, sia rispondendo in modo adeguato alla modificazione della domanda che sta caratterizzando il modello di produzione e quello di consumo in una economia, come quella cinese, che continua ad avere una rapida crescita e una profonda trasformazione strutturale.
Ci sono molte opportunità per la presenza delle imprese del Nordest in Cina; la firma del Memorandum of Understanding tra Italia e Cina sulla Belt and Road apre ulteriori opportunità, che però vanno appropriatamente utilizzate. E utilizzare queste opportunità sarà sempre più possibile quanto più aumenterà da parte degli imprenditori locali la conoscenza delle trasformazioni in atto nell’economia cinese, la loro capacità nell’uso delle tecnologie digitali che stanno sempre più caratterizzando l’economia cinese, la utilizzazione di un adeguato capitale umano in termini di persone che si impadroniranno della lingua e della cultura cinese, anche grazie alla esistenza di strutture universitarie in grado di preparare queste persone.
È necessario anche cambiare il modo con il quale finora nel Nordest si è considerata la presenza cinese in Italia e nello stesso Nordest, un modo nel quale si combinano il timore di una minaccia e la limitatezza degli ambiti e delle modalità ai quali ci si riferisce quando si considera questa presenza.
Secondo i dati del rapporto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 2017 quella cinese è una delle popolazioni di nazionalità straniera più numerose soggiornanti in Italia. Si stima che entro il 2025 i cinesi saranno la più ampia minoranza etnica di origine non europea in Italia.
Sempre secondo il rapporto del Ministero del Lavoro, nel 2017 c’erano in Italia più di 50 mila imprese cinesi, con una forte partecipazione femminile. Ma secondo uno studio dell’Associazione Artigiani di Mestre sarebbero già 80 mila. A parte la Toscana e il Lazio, le imprese cinesi sono concentrate nel Nord dell’Italia e soprattutto in Lombardia; nel Nordest ce ne saranno poco meno di un quinto.
L’impresa famigliare è da sempre il principale veicolo di inserimento economico per i cinesi d’Italia. I Cinesi sono al secondo posto nella graduatoria delle imprese individuali con titolare straniero.
I settori nei quali gli imprenditori famigliari cinesi sono più presenti sono ben noti: il piccolo commercio al dettaglio, la ristorazione, la piccola industria manifatturiera, soprattutto nel tessile, abbigliamento e calzature; ma si va sviluppando la presenza nel settore dei servizi alla persona.
Non si può certo negare che la presenza degli imprenditori cinesi in Italia, e quindi anche nel Nordest, si manifesti nell’economia sommersa e alimenti le contraffazioni.
Ma bisogna anche riconoscere che i cinesi si stanno sempre più stabilmente inserendo nel tessuto sociale ed economico italiano: la quota di permessi di lungo periodo è in rapido aumento. Crescono quindi i cinesi nati in Italia; le famiglie cinesi in Italia hanno figli in età più giovane delle famiglie italiane.
La comunità cinese non è una comunità chiusa. La conoscenza della lingua italiana è un fattore chiave della sostenibilità economica dell’impresa cinese in Italia, sostenuta dalla integrazione scolastica dei figli. Ci sono sempre più giovani cinesi nati in Italia che hanno un diploma di scuola superiore o addirittura una laurea, che spesso hanno una maggiore dimestichezza con la lingua e la cultura italiana che con quella dei propri genitori.
Costituiscono ormai un gruppo sociale in grado di rapportarsi con una gamma di interlocutori assai più vasta dei propri genitori, anche sotto il profilo dell’iniziativa imprenditoriale.
Ma la presenza cinese nell’economia italiana e quindi anche in quella del Nordest sta andando al di là del settore delle piccole imprese famigliari.

Gli investimenti cinesi in Italia Gli investimenti in infrastrutture
Gli investimenti cinesi in Italia sono ancora a un livello inferiore a quello di altri paesi europei. Per esempio, gli investimenti cinesi in Italia sono il 9% di quelli in Europa, mentre quelli in Germania rappresentano il 12%. È indiscutibile peraltro che la Cina è sempre più presente con investimenti in Italia.
Questo avviene non solo in società sportive come Milan e Inter, ma anche in società del settore industriale. Le azioni della People’s Bank of China in Intesa Sanpaolo, Unicredit, Enel e Telecom Italia valgono 4 miliardi. China National Chemical, ha acquisito una quota di controllo in Pirelli per 7 miliardi di euro. Ma in più di cinquecento imprese italiane ci sono partecipazioni di investitori cinesi: dal settore elettrico, a quello agroalimentare, a quello della moda, a quello biomedicale. La presenza di investitori cinesi nel Nord Est non è ancora così forte come in altre regioni italiane, ma questa presenza è destinata a crescere.
In molti casi la presenza cinese ha dato luogo a forme positive di collaborazione; affinché queste prevalgano anche negli investimenti cinesi nel Nord Est e si superino i timori di colonizzazione sono necessarie quelle condizioni che sopra sono state richiamate per l’Unione Europea nel suo complesso, e cioè che da parte italiana ci sia la capacità di iniziativa nel campo degli investimenti e del progresso tecnologico con un adeguato capitale umano frutto di un sistema adeguato di formazione.
Gli investimenti in infrastrutture
La firma del Memorandum of Understanding tra Italia e Cina sulla Belt and Road apre nuove prospettive sulla presenza cinese anche nel campo infrastrutturale. Anche queste vengono viste con un misto di speranza e apprensione; perché l’apprensione venga superata è importante mettere in chiaro le condizioni per una proficua collaborazione.
L’esperienza della Belt and Road dimostra che la presenza cinese nei porti dei corridoi marittimi della Belt and Road, una presenza che potrà riguardare anche il Nord Est, presenta dei rischi per quanto riguarda la proprietà delle infrastrutture, ma si è manifestata, come sopra sottolineato, anche in una espansione delle possibilità di sviluppo economico e di apertura internazionale dell’area interessata.
Il ruolo dei porti italiani nel Mediterraneo si è ridotto per la presenza cinese; d’altra parte da quando i cinesi sono presenti nel porto del Pireo il traffico container in questo porto si è sestuplicato portando il terminal molto più in alto nella graduatoria mondiale.
Sul coinvolgimento del porto di Trieste e forse anche di quello di Venezia, è importante che la relazione tra Italia e Cina venga costruita in modo che gli aspetti positivi superino i rischi di conseguenze negative.