Capitale umano, Organizzazione e Lavoro

Imprese, capitale umano e sviluppo delle imprese (2/2)
Performance delle imprese Champions in Veneto ed Emilia-Romagna e caratteristiche del capitale umano in tali imprese
Se si entra nel merito della composizione dimensionale delle imprese manifatturiere di Veneto ed Emilia-Romagna , ci sono due informazioni significative emerse dalla ricerca di Italy Post sui cosiddetti Champions, che lasciano intendere che, ad oggi, le strade intraprese hanno portato a uno sviluppo divergente.
Il Veneto supera abbondantemente l’Emilia-Romagna per numero di Champions nella classe dimensionale 20-120 milioni (100 a fronte di 64), ma è abbondantemente sotto nella classe dimensionale 120-500 (9 a fronte di 21).
In termini di fatturato complessivo realizzato da tutti i Champions, inoltre, quello emilianoromagnolo supera di oltre seicento milioni quello veneto.




Un approfondimento realizzato InfoCamere su dati Registro Imprese/INPS ha analizzato le caratteristiche del capitale umano dei Champions in termini di distribuzione per tipo di contratto, composizione per tempo di lavoro, struttura per livelli di inquadramento, e li ha confrontati con le imprese di pari fatturato che non hanno ottenuto gli stessi risultati, lungo tre assi:

1_Quasi il 90% delle maestranze dei Champions (88,7%) ha un contratto a tempo indeterminato, mentre nelle altre si ferma all’84,1%.La stabilità della relazione di lavoro alimenta il contratto psicologico tra datore di lavoro e collaboratore ed è una delle condizioni che incide positivamente sulla propensione a mettere risorse e impegno nello sviluppo di competenze, a volte uniche, utilizzabili solo nello specifico ambiente di lavoro. È una combinazione reciprocamente conveniente: per le imprese è razionale investire perché, al netto delle scelte di mobilità volontaria, c’è l’aspettativa di creare fattori di unicità difficilmente replicabili dai concorrenti e di coglierne i risultati tangibili; per chi lavora è razionale farlo con determinazione, perché c’è l’aspettativa di poter valorizzare le nuove competenze in termini di autorealizzazione e di status (e non solo in termini retributivi).

2_Oltre il 90% di chi lavora nei Champions (91,9%) ha un contratto a tempo pieno e solo l’8,1% ha un contratto a tempo parziale, mentre nelle altre imprese della stessa dimensione il tempo pieno si ferma all’80,6% e quello parziale sale al 19,4%. Dal lato dei lavoratori, opta per questo contratto chi deve conciliare esigenze tra loro diverse (di famiglia, di lavoro, di altra natura), a volte per scelta e altre volte per necessità (o carenze del sistema di welfare): in ogni caso, si tratta di persone che devono anche fare altro e, conseguentemente, pur impegnandosi in modo adeguato, hanno minori stimoli e incentivi a sviluppare nuove competenze, perché anche per loro il ritorno dell’investimento sarebbe limitato. Lo stesso vale per le imprese che tenderanno a gestire con questi contratti le attività più standardizzate e meno rilevanti per la competitività del business.

3_I Champions hanno performance molto più elevate rispetto alle aziende di pari dimensione con una minore incidenza di dirigenti e quadri (4,1% rispetto a 4,8%) e di impiegati (38,0% rispetto a 40,3%), ma con una presenza maggiore di giovani assunti con contratto di apprendistato (3,9% a fronte del 2,1%). In queste due informazioni si specchia la diversità dei Champions.
    Non ci sono tante alternative per ottenere brillanti risultati con linee manageriali intermedie più ridotte. È necessario che l’impresa:
    • sia nelle mani di figure imprenditoriali capaci di immaginare la strategia e di indicare le modalità per la sua implementazione;
    • che l’impresa sia ben organizzata in termini di strutture e processi decisionali;
    • che, probabilmente anche per queste ragioni, sappia attirare e trattenere i manager più preparati sul mercato.

È noto che chi si sente capace è nelle condizioni di scegliersi il datore di lavoro, tenderà a spostarsi verso le realtà in cui le proprie competenze hanno la maggiore possibilità di essere valorizzate, e ciò vale tanto per le persone con esperienza quanto per le nuove generazioni.
È verosimile che le tendenze rilevate siano più marcate nelle imprese di maggiori dimensioni e nei territori in cui è più elevata la propensione all’investimento (in macchine, impianti e tecnologie): i flussi di giovani qualificati verso l’Emilia-Romagna è almeno in parte spiegabile da queste variabili.




Ci sono altri due dati che aiutano a comprendere i flussi di persone qualificate, da e per Veneto ed Emilia-Romagna: riguardano il PIL pro-capite e i livelli retributivi. Il PIL pro capite in Veneto è di 33.122 euro, mentre in Emilia Romagna si attesta a 35.324, con una differenza superiore a 2.000 euro. Questa informazione nulla ci dice sull’equità nella distribuzione della ricchezza, ma segnala che il sistema economico emiliano-romagnolo è più performante e riesce a impiegare al meglio tutti i fattori della produzione, incluso il capitale umano.
Il Geography Index elaborato dall’Osservatorio JobPricing, che rileva i livelli degli stipendi in termini di RAL (retribuzione annua lorda) di 400.000 profili retributivi di lavoratori dell’impresa privata, va nella stessa direzione: mediamente, le retribuzioni annue in Emilia-Romagna superano di circa 1.000 euro quelle del Veneto (30.455 euro a fronte di 29.447).




È evidente che le persone più qualificate sono attratte da un mix efficace tra le opportunità di crescita professionale che il business e l’ambiente di lavoro rendono disponibili e i livelli retributivi che i datori di lavoro offrono. Rispetto a queste due variabili, oggi l’Emilia-Romagna sta davanti al Veneto.

Quali possono essere le conseguenze?
La prima deriva dal (decisamente) poco romantico accoppiamento selettivo, che indica la tendenza delle persone a scegliere un partner con un’estrazione socio-economica affine. Questo fenomeno ha tante più probabilità di verificarsi, quanto più numerose sono le persone affini che vivono nello stesso territorio. Pertanto, quando si perdono residenti con qualificazione elevata tra 25-39 anni, di fatto si perdono potenziali coppie che prima o dopo potrebbero avere figli e cittadini che (in generale) hanno una capacità di spesa più elevata.
La seconda conseguenza riguarda quei territori che non riusciranno a ribilanciare i flussi in ingresso in termini di quantità e qualificazione, mettendo così a rischio le possibilità di crescita delle imprese. La scarsità di capitale umano adeguato depotenzia gli effetti degli investimenti in innovazione, tecnologia, impianti e ridisegno dei processi, perché priva le aziende di persone sia competenti sia disponibili a metterci impegno e coinvolgimento nel seguire le traiettorie di sviluppo. Per sostenere i piani e gli investimenti delle imprese è indispensabile intervenire sui flussi e, come già evidenziato nel Rapporto Nord Est 2018, investire nella formazione dei lavoratori.
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