Servono strategie e risposte concrete da dare ai protagonisti del NordEst di domani. L’analisi sulle prospettive di vita e di lavoro dei 30-39enni del NordEst, scelte di studio
e occasioni di lavoro.
Gli uomini e le donne che oggi vivono nel NordEst sono in grado di affrontare la sfida della nuova modernità, attraverso la loro organizzazione di vita e il loro lavoro?
Per rispondere a questa cruciale domanda focalizziamoil nostro guardo sui giovani adulti, ossia sui residenti di 30-39 anni. Queste persone hanno terminato la scuola e l’università, e gran parte di loro ha messo su famiglia. Sono uomini e donne nel pieno delle forze, che hanno davanti a sé trenta o quarant’anni di lavoro. Saranno loro gli artefici del Nordest del futuro.
La crisi del 2008 ha distrutto reddito e lavoro, e negli anni recenti il recupero non è (ancora) stato completato: se si tiene conto dell’inflazione, oggi il reddito italiano pro-capite è ancora
del 10% inferiore rispetto a quello del 2008. Anche i giovani adulti del NordEst hanno sofferto la crisi. Il loro tasso di occupazione, ossia la percentuale di lavoratori sul totale dei residenti, passa dall’85% del 2008 all’82% del 2012 e del 2017.
TASSI DI OCCUPAZIONE DEL NORDEST PER I GIOVANI ADULTI (30-39 ANNI) NEL 2008, 2012 E 2017
Il 3% di occupati in meno non è una cosa da poco, perché si accompagna all’aumento della disoccupazione, e all’allungarsi dei tempi della permanenza dei giovani nella famiglia dei genitori. Si accompagna anche all’incremento della povertà, che ha preservato gli anziani, mentre ha colpito pesantemente adulti e bambini.
Allargando lo sguardo, si vede che malgrado nel complesso della popolazione il numero dei lavoratori di fine 2017 sia uguale a quello del 2008, i tassi di occupazione sono cresciuti solo per gli ultracinquantenni – grazie all’aumento dell’età effettiva alla pensione – mentre i tassi di occupazione dei più giovani sono ancora lontani dai livelli pre-crisi. Inoltre, il numero di ore lavorate è ancora largamente inferiore rispetto al 2008, in larga parte a causa del part-time involontario.
Il tasso di occupazione non è diminuito per tutti allo stesso modo: i gruppi più penalizzati sono state le persone con basso titolo di studio e i cittadini non comunitari, in particolare le donne. Per le donne extra UE, il tasso di occupazione nel breve giro di nove anni è diminuito di diciotto punti (dal 57 al 39%).
Alla luce di questi dati, non sorprende che la povertà sia fortemente aumentata fra gli stranieri, specialmente fra quelli con figli. Non stupisce neppure che sia mutato grandemente il panorama migratorio: al contrario di quello che molti percepiscono, oggi nel NordEst arrivano molti meno stranieri rispetto al primo decennio del secolo, e molti altri stranieri hanno lasciato il nostro paese. Come viene raccontato in modo articolato in altre parti di questo rapporto, ciò accade perché nel NordEst post-crisi è diminuita in modo drastico la richiesta di lavoro generico non qualificato.
POCHE DIFFERENZE FRA REGIONI DEL NORD
La situazione dei tassi di occupazione dei giovani adulti del 2017 è abbastanza simile in tutte le regioni del Nord Italia, anche se vi sono alcune sfumature degne di nota. Limitiamo l’analisi alle differenze per titolo di studio.
La Lombardia è senza dubbio la regione più “florida”, avendo i tassi di occupazione più elevati in tutte le categorie, con l’eccezione degli uomini diplomati. In quest’ambito,
il NordEst si distingue per i tassi più elevati, che superano anche quelli degli uomini laureati. Riprenderemo più avanti questo discorso, ragionando sulla formazione universitaria. Va osservato
anche, in tutto il Nord, l’enorme divario nel tasso di occupazione fra le donne laureate e quelle senza un diploma superiore. È un fenomeno ben noto, che ha giustificazioni economiche e culturali. La riduzione di questa “forbice” dovrebbe essere un obiettivo politico importante, perché a tutte le donne, anche a quelle meno istruite, dovrebbe essere garantita la possibilità di lavorare anche al di fuori delle mura domestiche. Anche perché la prima assicurazione contro la povertà, per un bambino, è avere entrambi i genitori che lavorano.
LA QUALITÀ DEL LAVORO
I lavoratori 30-39enni del NordEst si dichiarano abbastanza soddisfatti del loro lavoro, con differenze assai limitate secondo il genere, il titolo di studio e la cittadinanza.
Le cose cambiano quando si considerano le diverse dimensioni della soddisfazione. La soddisfazione è elevata sulla stabilità del lavoro, con l’ovvia eccezione del 15% che, a quell’età, ha ancora contratti a tempo determinato. Molto più contenuta – invece – è la soddisfazione sul guadagno e, specialmente, sulle prospettive di carriera, viste in modo particolarmente negativo dalle donne, dalle persone con basso titolo di studio, dagli stranieri e dai lavoratori con contratti a tempo determinato.
In un punteggio da 1 a 10, i lavoratori assunti a tempo indeterminato assegnano 7,9 alla soddisfazione sulla stabilità, contro 6,1 dei lavoratori a tempo determinato. Evidentemente, per grandissima parte di loro il lavoro a tempo determinato è una costrizione, piuttosto che una scelta (quindi per loro si deve parlare di precarietà, piuttosto che di flessibilità). L’instabilità del lavoro ha profonde ripercussioni anche sulla vita familiare. Fra i lavoratori 30-39nni che vivono a casa dei genitori o dei suoceri, il 23% è assunto a tempo determinato, quasi il doppio rispetto a chi vive in coppia.
Come abbiamo detto, al di là delle narrazioni prevalenti, la precarietà non è pervasiva, interessando meno del 15% dei lavoratori 30-39nni residenti nel Nordest. Tuttavia, per alcuni gruppi la situazione è molto peggiore. La maggior proporzione di assunti a tempo indeterminato è fra gli uomini, gli italiani e i diplomati, mentre la
precarietà è particolarmente diffusa fra le donne, gli stranieri, le persone con basso titolo di studio, ma anche – un po’ inaspettatamente – fra i laureati. Il controverso rapporto fra laureati e lavoro verrà meglio approfondito fra poco. Infine, la retribuzione. Anche in questo caso, le differenze secondo le caratteristiche dei lavoratori sono rilevanti: i guadagni più elevati vanno agli uomini italiani laureati, assunti a tempo indeterminato, quelli più bassi alle donne straniere con basso titolo, assunte a tempo determinato. Parte di queste differenze è dovuta ai diversi orari di lavoro. Ad esempio, la differenza media di stipendio fra gli uomini e le donne è di 277 euro mensili, ma se consideriamo solo uomini e donne impiegati a tempo pieno, la differenza – pur restando rilevante – scende a 140 euro mensili (1.495 gli uomini e 1.355 le donne).