La pandemia intensificherà la spinta verso una maggiore regionalizzazione delle catene globali del valore?
Quale sarà il
futuro delle catene globali del valore dopo la pandemia? Ne abbiamo parlato durante il
webinar di martedì 21 aprile 2020 con Gianluca Toschi di Fondazione Nord Est, Roberto Antonietti dell Università di Padova, Giancarlo Corò di Ca' Foscari e Alessandro Terzulli, chief economist a
Sace-Simest. Nella discussione abbiamo coinvolto anche Federico Visentin, imprenditore a capo di
Mevis, un'impresa che lavora nella filiera globale dell'automotive. In questo post vengono raccolti alcuni dei passaggi del webinar.
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Federico Visentin | Alessandro Terzulli |
Prima di pensare al futuro delle catene globali del valore è opportuno fare un passo indietro e capire che esse hanno una grandissima rilevanza in termini di scambi internazionali dato che generano circa i 2/3 dei volumi totali.
Le catene globali del valore hanno iniziato ad affermarsi agli inizi degli anni '90, principalmente per due motivi. Da un lato, per una
situazione geopolitica favorevole al flusso di investimenti tra paesi e, dall'altro, per lo
sviluppo esponenziale di tecnologie che hanno permesso di comunicare a distanza.
Gli effetti di tale espansione sono stati importani: secondo in Peterson Institute of International Economics, considerando l'aumento di efficienza e la diminuzione dei prezzi, dovute anche alle catene globali del valore, le famiglie americane hanno incrementato in media il loro risparmio di 10000 dollari.
Dopo la crisi del 2008 si sono sviluppati i primi fenomeni di regionalizzazione e sono progressivamente andate a configurarsi tre grandi piattaforme manifatturiere costituite da: Canada-USA-Messico, Europa e Sud-Est Asiatico. In questo periodo cresce il peso dei servizi rispetto alla manifattura e diventano più rilevanti lo speed to market e la vicinanza anche in termini geografici.
Venendo ad oggi, e' difficile dire cosa accadrà alle catene globali del valore dopo la pandemia e ci sono pareri discordanti. Alcuni credono che “non cambierà nulla”, altri invece propendono per una forte regionalizzazione delle stesse.
Inizialmente la pandemia ha causato uno shock dal lato dell'offerta ma con la diffusione del virus al di fuori della Cina e' diventato anche uno shock dal lato della domanda, elemento importante che caratterizza questa rispetto ad altre crisi. Via via che la capacita' produttiva riprenderà, rimarrà più a lungo un problema dovuto alla riduzione della domanda. Si registra inoltre la tendenza al un “nazionalismo” industriale.
L'impatto di questo shock e' globale e rispetto alla crisi del 2008 ha caratteristiche molto diverse. Con le dovute cautele, ad un evento intenso come la pandemia potrebbe seguire una ripresa più veloce rispetto a quella della crisi del 2008. In particolare, il bilancio 2020 sarà certamente negativo ma, già verso la fine dell'anno, si potrà vedere una ripresa, ammesso che non ci siano ricadute dal punto di vista sanitario. Il fondo monetario internazionale come consuetudine considera 3 scenari ed in quello base prevede una diminuzione del 11.9% nei volumi del commercio internazionale mentre il WTO, nello scenario peggiore, non esclude una perdita del 32% nei volume degli scambi.
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Roberto Antonietti | Giancarlo Corò |
E' necessario considerare che la
capacita' di ripresa sarà eterogenea, ed in generale il settore dei beni risentirà di più rispetto a quello dei servizi. Inoltre, all'interno del settore dei beni ci sono ambiti più esposti di altri perché, per un effetto di "supply chain contagion", maggiormente collegati alle catene globali del valore come l'elettronica, e in una certa misura, l'automotive. Alcune filiere, come quelle dell'elettronica stanno subendo cali dell'import/export molto rilevanti intorno al 40%. Un settore che interessa particolarmente l'Italia e' quello del tessile, che ha subito significativi rallentamenti. Al centro della preoccupazione sono anche il settore medicale e farmaceutico, in cui l'Italia, grazie anche al fatto di essere inserita nelle catene globali del valore, e' uno degli attori leader. In Italia, infatti, il 60% del valore aggiunto di questo settore e' dovuto al fatto che le aziende italiane sono a loro volta controllate da multinazionali estere.
Relativamente all'idea del reshoring verranno ricostituite delle filiere “europee” e non si tratterà solo di riavvicinare i fornitori ma diverrà rilevante anche il tema della “
ridondanza”. Sara' infatti auspicabile diversificare i propri fornitori e aumentare le scorte nei magazzini come forma di
“assicurazione” contro i potenziali rischi.
Infine, facendo un cambio di prospettiva, secondo un rapporto dell'UNIDO, la regionalizzazione delle catene globali del valore potrebbe creare un problema per le economie dei paesi emergenti, che subirebbero un rallentando dei propri processi di sviluppo.